Diabete 1, 2 oppure X?
Il diabete di tipo 1, così come altre forme genetiche e autoimmuni possono esordire dopo l’adolescenza, perfino nell’età adulta. Una diagnosi affrettata di diabete di tipo 2 porta a terapie inappropriate.
La ‘regola del pollice’, come la chiamano gli inglesi, è semplice: se il diabete appare prima dei 20-25 anni è un diabete di tipo 1 (DM1). Se compare dopo è di tipo 2 (DM2). Nel primo caso è subito necessario assumere insulina, nel secondo caso si può – almeno all’inizio – seguire la malattia con farmaci orali e agendo sugli stili di vita. Semplice no? Tanto è vero che colloquialmente si definisce il Dm1 ‘diabete giovanile’ e il Dm2 ‘diabete degli anziani’.
Le cose non sono così semplici
Purtroppo le cose non sono così semplici. A parte la crescita di casi di diabete di tipo 2 in età giovanile (fenomeno per fortuna raro in Italia) forme di diabete di origine autoimmune come il diabete di tipo 1 possono apparire ben dopo i 25 anni. E non si tratta di casi troppo rari. L’ex primo ministro inglese Theresa May ad esempio ha esordito a 50 anni con un diabete di tipo 1.
In realtà, fra il ‘tipico DM1’ e il ‘tipico DM2’ esistono probabilmente numerose forme intermedie. Due sono note da tempo; il Mody, un diabete autoimmune con una forte impronta genetica che può apparire tra i giovani adulti, e il Lada, un diabete che sembrerebbe di tipo 2 ma che, praticamente da subito, richiede una terapia con insulina. Ed esistono probabilmente altre forme intermedie (i cosiddetti diabeti intermedi fra 1 e 2).
Troppe diagnosi affrettate
Accademia? Curiosità da esperti? Eccezioni che confermano la regola? Non proprio. Recenti studi all’estero hanno dimostrato che una quota importante delle diagnosi fatte dai Centri di diabetologia su persone di 40-70 anni era sbagliata. "Non si trattava di diabete di tipo 2 ma di forme autoimmuni", nota il professor Giuseppe Chiumello che nella sua attività di ricerca scientifica ha approfondito anche le forme allora ritenute rare di diabete ‘intermedio’ fra il classico tipo 2 e il tipo 1.
I rischi di una diagnosi sbagliata
Purtroppo una diagnosi sbagliata significa una terapia inappropriata, una scarsa attenzione alla storia clinica del paziente (avere una malattia autoimmune aumenta il rischio di averne altre) e una esagerata attenzione al peso e all’aspetto dell’educazione alimentare.
Può valere la pena, quindi, di chiedere una seconda opinione a uno specialista e di impostare un iter diagnostico e terapeutico più attento e articolato comprendente anche mappe anticorpali e analisi genetiche teso a verificare l’esattezza della diagnosi e, se questa è stata imprecisa, a definire una terapia più appropriata e personalizzata.