Anche da anziani è questione di ritmo
Le conseguenze dell’ipotiroidismo: stanchezza, depressione, ridotta lucidità, scarso appetito si confondono con i problemi della vecchiaia. Diagnosi e terapia possono migliorare la vita dell’anziano riducendo anche peso e rischi cardiovascolari.
L'ipotiroidismo, vale a dire la produzione insufficiente di ormoni da parte della tiroide, è un problema di salute che diventa più probabile con l'età. Sopra i 65 anni, 2-5 persone su 100 hanno un ipotiroidismo manifesto; un altro 5-10% una forma subclinica specialmente nelle donne. Anche nella terza età la causa principale è di gran lunga la malattia di Hashimoto. [Per approfondire la malattia di Hashimoto clicca qui].
L’organismo della persona giovane o adulta riesce spesso a contrastare gli effetti dell’attacco autoimmunitario alla tiroide. Questa ‘guerra di trincea’ mantiene l’equilibrio fino a quando, con l’invecchiamento, le difese immunitarie perdono forza e l’attacco autoimmune distrugge la tiroide. Inoltre, nell’anziano si sentono con più forza gli effetti ritardati di eventuali cure effettuate per contrastare l’ipertiroidismo.
Sintomi e segni vaghi e sfumati
“In età pediatrica è possibile, mi è successo più volte, ipotizzare l’ipotiroidismo semplicemente guardando in viso un paziente”, ricorda l’endocrinologo professor Giuseppe Chiumello, “o ascoltando i sintomi che vengono riferiti. Nell’anziano, invece, una diagnosi basata solo sui sintomi è spesso molto difficile. I sintomi dell’ipotiroidismo sono infatti sfumati, vaghi e in numero minore”.
I brividi, l’aumento ponderale, i crampi muscolari sono notevolmente meno frequenti nei pazienti di oltre 70 anni rispetto a quelli con meno di 50 anni. Lo stesso vale per i segni come affaticabilità, stanchezza, depressione, stipsi e secchezza o ruvidezza della cute. “Sono tutti sintomi che, a volte frettolosamente, attribuiamo ‘alla vecchiaia’: una certa confusione mentale, mancanza di appetito, calo ponderale, facilità alle cadute, incontinenza e mobilità ridotta”, ricorda l’endocrinologo milanese. Curiosamente nella terza età i sintomi si presentano in numero maggiore nell'ipotiroidismo subclinico (cioè nelle forme ‘leggere’ di ipotiroidismo) che in quelle conclamate.
In ogni caso per ‘tagliare la testa al toro’ è opportuno che le persone anziane (in particolare le donne) eseguano almeno ogni anno o due un esame del sangue per valutare la presenza dell’ormone TSH. L’esame ha un costo molto ridotto ( del resto è possibile praticarlo attraverso il servizio sanitario nazionale) e può essere associato ad altri test. Se il TSH è alto è consigliabile misurare anche l'FT4 per definire la diagnosi.
Rischi di un ipotiroidismo non curato nell’anziano
Un ipotiroidismo non curato, infatti, oltre a colpire il benessere percepito e la qualità della vita, incide sul rischio cardiovascolare, già alto nell’anziano. L’ipotiroidismo si associa a un aumento dei grassi nel sangue (soprattutto colesterolo LDL), della pressione arteriosa e della lipoproteina (a), un fattore di rischio per la malattia coronarica.
Una terapia semplice e risolutiva
La terapia consiste nella somministrazione sostitutiva di tiroxina per colmare il deficit di FT4. La terapia deve sempre essere iniziata con cautela, cominciando con una dose minima da aumentare gradatamente. Frequenti controlli dell'FT4 permettono di capire quale sia il livello di equilibrio.
Una volta trovato l’equilibrio, è importante non saltare mai la somministrazione (se si dimentica di prendere la pillola la mattina lo si può fare a pranzo o la sera, magari spostando al pranzo la somministrazione della giornata seguente).
La terapia va continuata a vita. Il dosaggio degli ormoni va fatto almeno ogni anno e quando varia notevolmente il peso o lo stato di salute del paziente. La terapia sostitutiva non ha alcun effetto collaterale. Non c’è mai una ragione per sospenderla.
Attenzione agli ‘effetti incrociati’ con altre terapie
Una serie di farmaci abbastanza comuni e usati per terapie di lungo termine (corticosteroidi, metformina, agonisti della dopamina per il Parkinson, anti-epilettici, somatostatine) possono influenzare il funzionamento della tiroide e quindi l’efficacia della terapia. È opportuno segnalare a ai medici specialisti che si segue una terapia sostitutiva per gli ormoni della tiroide. Se necessario, rivolgersi allo specialista che ha prescritto la terapia per la tiroide e rivederla.